Metodi e strumenti della supervisione: 9 spunti e 5 suggestioni

STRUMENTI E METODI DELLA SUPERVISIONE

Intervento al convegno

“La supervisione per il rafforzamento del servizio sociale e la prevenzione del burnout degli operatori”

Da tecnico con una quarantennale anzianità di servizio nell’ambito della relazione d’aiuto porto un novenario di spunti attorno al tema della supervisione del lavoro sociale. Aggiungo in coda alcune suggestioni che derivano dalla mia formazione di sociologo, educatore professionale, counselor, mediatore familiare, mediatore al lavoro e dall’esperienza di orientatore.

Nella mia carriera ho preso parte a diverse supervisioni, sia come supervisore che come …supervisionato Parola terribile, passiva, a cui sostituisco “utente-partecipante”.

Voglio portare l’attenzione su questi due termini, utente e partecipante, per considerarli nella prospettiva della SPV. Una coppia concettuale che rischia di apparire contradditoria.

Vediamo cosa portano con loro alcuni termini:

Utente è colui che richiede a fa uso di un servizio pubblico o privato.

Cliente è colui che paga un prodotto o servizio, ma anche colui che, come ricorda la storia dell’antica Roma, dipende dal Patrono da un cittadino potente che offre protezione

In inglese si distingue tra Customer (colui che ha il potere di compare o meno) e Client (chi chiede di produrre e ha il potere di influenzare la produzione)

Se aggiungiamo a questi concetti anche quello di servizio, che deriva da servo, ci troviamo ancora di fronte al tema del potere e di chi lo detiene.

Il termine “utente”, qualunque sia il suo significato ufficiale, nell’ambito dei servizi sociali, allude a una dimensione di passività, di debolezza nel rapporto che ha tuttavia delle conseguenze nel tentativo anche inconscio di ribaltare tale posizione. Il che suscita sovente fastidio e rabbia e altre emozioni entrano in circolo nella relazione tra operatore e utente.

La parola “partecipante” rimanda invece a una volontà d’azione personale e corale.

Ciò che voglio innanzitutto sottolineare è che chi partecipa a una supervisione è sempre e necessariamente un operatore attivo, tanto nel suo lavoro quanto nel rapporto di supervisione, sia esso individuale o di gruppo.

Con questa premessa abbiamo anche ricordato che oggetti della supervisione (e suoi ospiti non sempre invitati) possono essere i temi del potere nelle relazioni e delle emozioni che ne scaturiscono.

Passiamo ora, parlandone in termini generali, al supervisore. Più del docente e più del Formatore il spv si avventura sul terreno operativo e accoglie i temi portati dal gruppo che accompagna.

Il supervisore, ecco la seconda cosa che voglio dire, accompagna il singolo o in gruppo in un processo temporale più lungo. E’ un accompagnatore.

Cosa significa accompagnare? Significa essere con le persone per un certo periodo di tempo senza necessariamente calare risposte dall’esterno, ma piuttosto cercando di farle affiorare dal gruppo, contando sulle sue risorse interne.

Ma, allora, se il supervisore non è colui che porta risposte (o almeno non è necessariamente o sempre e soltanto colui che introduce risposte), qual è la sua area di competenza?

Mentre la persona o il gruppo, sono i massimi conoscitori di ciò che vivono e della situazione in cui operano, il supervisore è competente sul processo della SPV e, in qualche modo, regista degli scambi comunicativi volti alla ricerca e costruzione di soluzioni comuni.

Abbiamo fin qui considerato due poli di tale processo. Ne mana uno.

La terza gamba su cui si regge la SPV è rappresentata dal “committente”, dall’organizzazione che paga la SPV. E’ questo un punto delicato che ha a che fare con il potere, a cui abbiamo accennato prima.

Diversamente da altri contesti produttivi in cui il supervisore è il controllore del lavoro svolto dalle maestranze, nei contesti socio sanitari e socio educativi, il supervisore non esercita questo tipo di ruolo. Egli è solo uno degli elementi che concorrono alla buona qualità del lavoro, del servizio erogato, del benessere lavorativo degli operatori. Lavoro, servizio e operatore sono tre bambini che si danno la mano e fanno il girotondo. Dunque ecco un altro pezzetto importante da segnalare.

Il supervisore riceve un incarico dall’organizzazione committente per intervenire con una persona con un gruppo di lavoro o con più livelli di servizio. Il committente è client, ha dunque un potere di indirizzo e richiesta sul prodotto che compra, al tempo stesso però il SPV deve avere un sufficiente grado di indipendenza dal suo committente per poter essere a servizio del gruppo di lavoro, che non deve sentirsi controllato, spiato o valutato, ma coadiuvato per funzionare meglio.

Occorre quindi una buona consapevolezza di ciò a tutti i livelli della scala gerarchica affinché il beneficiario ultimo della SPV possa fidarsi e affidarsi al processo di SPV, che non deve quindi essere confusa con un ruolo di valutazione o di selezione del personale.

Se la SPV non si esaurisce con la formazione, non è luogo di controllo e valutazione, non è momento di selezione del personale, cos’è? Qual è la sua specificità?

Io ritengo che sia uno spazio e un tempo dedicato in cui la persona o il gruppo può riflettere, dialogare, ascoltare, confrontarsi, elaborare strategie e condividere soluzioni da porre a verifica. Uno spazio tempo che necessita di tutela e protezione, giacché la sua tutela è protezione del lavoro individuale e del gruppo.

Compito di tutti (dell’organizzazione, del livello di coordinamento del gruppo, dei singoli partecipanti e del Supervisore) è quello di tutelare e proteggere questo spazio tempo dedicato. Proteggere da cosa? Dalle emergenze, dalle interferenze che il lavoro spesso introduce, dalle resistenze personali, dalle ingerenze organizzative che possono insorgere.

In genere, per questi motivi, la SPV è fortemente richiesta dagli operatori sociali e non sempre ottenuta perché essa ha un costo.

Non è solo il costo vivo del supervisore ma anche quello del lavoro degli operatori che, per un poco, prendono distanza dal front office per ragionare e ascoltarsi, per ricomporre le informazioni.

Per questo concordo sul dire che la SPV è possibile quando si è in buona salute. E’ un indicatore di buona salute organizzativa e concorre alla buona salute dei lavoratori.

Perché l’operatore sociale non dovrebbe godere di buona salute? Perché alcuni lavori sono considerati “mestieri impossibili”?

Quello nel sociale è un lavoro che porta a navigare tra le Simplegadi, le mitologiche rocce contrapposte e in movimento attraversate dagli Argonauti guidati da Giasone alla ricerca del vello d’oro, la pelle di capro capace di sanare ogni ferita. Non sono oggi gli operatori socio sanitari dei moderni argonauti alla ricerca di qualcosa in grado di sanare ferite? E come gli Argonauti devono attraversare le rocce mobili delle Simplegadi. Qui si tratta di navigare tra esigenze identitarie (nostre, dei colleghi, dell’utente) e organizzative. Un compito che ci pone nella strettoia tra le esigenze organizzative, il bisogno dell’altro e la nostra identità.

Come noto l’operatore sociale si trova implicato personalmente in relazioni spesso asimmetriche. In tale situazione egli ha il compito difficile di trovare un equilibrio tra il suo potere di “fare per l’altro” e il suo dovere di “far sì che l’altro faccia per sé”.

E’ esposto al fallimento, alla delusione, al dolore e al lutto. E’ esposto a emozioni, più di altre categorie di lavoratori. Gioca una parte che rimbomba di ruoli e vissuti personali extra lavorativi.

Opera sulla base di valori che deve confrontare con quelli altrui, ad esempio con quelli dei colleghi.

Su quali aspetti si può fare SPV? Poiché tanti sono gli aspetti del lavoro, diverse possono essere le supervisioni.

Si parla di SPV sui casi,

sulle dinamiche interne al gruppo di lavoro e sugli aspetti relazionali e comunicativi,

su temi organizzativi

su aspetti particolari che il servizio vive in quel momento

ecc.

E’ comunque un luogo di ricomposizione delle informazioni e di riflessione comune

 

Dunque chi è il professionista che può fare da supervisore? A seconda del tema scelto ci si potrà indirizzare verso uno o verso un altro professionista: uno psicologo, un sociologo, uno psichiatra, un filosofo, un counselor…

Personalmente sono contrario ai monopoli professionali e credo che di fronte a un mestiere complesso possano servire una complessità di approcci e competenze. Penso anche che gli strumenti della formazione e della SPV vadano costruiti in modo artigianale di volta in volta e che un approccio olistico che comprenda e utilizzi competenze diverse possa essere molto utile.

Anche un educatore o un A.S. possano agire il ruolo di supervisori in particolare nella conduzione di un processo dialogico alla ricerca di un metodo comune. Servono tuttavia una base culturale, una sensibilità personale e la possibilità di essere riconosciuti dal gruppo in quel ruolo.

Suggestioni a titolo di esempio

  • La pluralità delle esperienze e delle formazioni come base per una SPV olistica e artigianale.
  • Un contributo dalla sociologia arriva nella forma della ricerca intervento, dove la raccolta di dati e informazioni e occasione di scambio e confronto e dove il SPV-Ricercatore, elabora i dati e li ripropone come specchio in cui guardare alla ricerca di significati condivisi.
  • La mediazione con i suoi strumenti può tradursi in una SPV che affronta il conflitto nel gruppo di lavoro. L’esperienza nella mediazione al lavoro può essere utile a supervisionare un gruppo impegnato nell’inserimento lavorativo.
  • Il Counseling, declinato nel Counseling a Mediazione Naturale porta il gruppo , i suoi temi e la spv fuori dalle sedi istituzionali per accompagnarli in ambienti naturali dove i ruoli e i problemi si fanno più lievi e dove la creatività diventa più facile per trovare soluzione ai problemi.
  • La competenza sul bilancio di competenze porta alla SPV la possibilità di coniugare le risorse sul piano organizzativo, esplorando ruoli, facendo manutenzione delle motivazioni e cercando vie di crescita professionale.

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