Scuola Socio educativo e Pedagogia

“La pedagogia di don Gallo” presentazione a Palazzo Ducale, Genova

“La Pedagogia di don Gallo” è un libro che va alle radici dell’esperienza sociale e culturale della Comunità di San Benedetto al Porto di Genova.  E’ stato presentato a Palazzo Ducale a gennaio 2017. Il breve video, visionabile cliccando sull’immagine di copertina, ne riassume le tesi principali.

 

Riporto di seguito l’introduzione che indica le ragioni per cui il libro è stato scritto.

Dal 2007 al 2012, all’interno della Comunità di San Benedetto si è svolto un articolato processo di ricerca-intervento che abbiamo denominato “San Benedetto Reload”. Già il nome indica la volontà di ricaricare i programmi, di fare il pieno e ripartire meglio di prima, con rinnovato entusiasmo.

Per contribuire a questo intervento si è reso necessario procedere ad un approfondimento teorico sulla vicenda culturale della Comunità. Dalla ricerca-intervento è emersa fin da subito la difficoltà a tramandare,  ai nuovi venuti come all’esterno, il valore e i valori della Comunità, le sue metodiche, i suoi riferimenti culturali. Dall’incontro con questi gruppi di vita e di lavoro, ci siamo convinti dell’importanza di far diventare pubblico e fruibile il risultato di questo studio.

A introduzione di questo lavoro, occorre esplicitare alcune intenzioni e impostazioni.

Per delineare la pedagogia di Don Andrea Gallo e della Comunità si poteva procedere con il fissare alcuni punti e sciogliere alcuni nodi: ne sarebbe scaturito un ordinato elenco di argomenti funzionali, una sorta di manuale di istruzioni che tuttavia sarebbe nato già morto.

Ho scelto, al contrario, di toccare una serie di temi, privilegiando un approccio processuale e storico. La pedagogia di Don Gallo si realizza nella Comunità secondo un processo complesso, che introduce modi e fasi diverse relativamente al ciclo di vita della Comunità e all’evolversi della società. Ecco quindi la scelta di procedere ad un lavoro bibliografico, considerando i testi che si sono susseguiti nel corso degli anni. Una volta descritta e fissata nel tempo, la Comunità, che è un organismo vivo, può aver già cambiato aspetto; così come le persone accolte che, mentre cercano di mantenere e ricostruire una loro identità, al tempo stesso sono avviate al cambiamento.

Ritengo inoltre che quando si parla della pedagogia di Don Gallo, non ci si possa riferire solo alla figura, imprescindibile e fondamentale del fondatore della Comunità: dietro a questa formula c’è l’intera Comunità, le persone che sono passate e che hanno dato il loro contributo e, allargando la visuale, c’è un intero movimento culturale che negli stessi anni è stato, ed è ancora, operativo in Italia e nel mondo. La pedagogia di Don Gallo deriva quindi, questa è la tesi qui sostenuta, da una costruzione culturale e collettiva.

Questo saggio quindi non istituisce un sistema compiuto, non annoda tutti i fili e gli spunti  che riecheggiano da una sezione all’altra del testo. L’intersecarsi dei temi è volutamente lasciato aperto per consentire piste multiple di lettura e di approfondimento. Ad esempio, una possibile chiave di lettura potrebbe essere l’intreccio tra volontà di cambiamento personale e di mutamento sociale.

Su Don Andrea Gallo e sulla Comunità di San Benedetto al porto sono ormai stati scritti molti libri.

La Comunità è in cammino, è un organismo vivo che cambia con le persone che la abitano, cercando di mantenere fede ai suoi principi. Da quando la Comunità è nata, molte cose sono cambiate nella nostra società e nel mondo. Con questo lavoro non intendo cullare la nostalgia dei bei tempi andati, ma capire come può funzionare oggi la Comunità, dando evidenza e prospettiva teorica alla pedagogia su cui si basa e che è spesso rimasta in ombra, confusa in un alone di ideologismo, di approssimazione e di altri stereotipi troppo spesso attribuiti alla Comunità stessa. Un certo stile “anti intellettuale” e la ricerca di una cultura diversa da quella borghese hanno contribuito a far confondere la ricerca di nuovi linguaggi accessibili a tutti, con un atteggiamento scientificamente e culturalmente poco fondato.

Don Gallo è stato una persona lucida e coerente, un personaggio controverso che non lascia indifferenti: o lo si ama o lo si rigetta, muove, da sempre, passioni forti.

Molti quindi sono stati i detrattori della Comunità, il cui atteggiamento ha impedito una lettura più profonda di quella cultura che si veniva costruendo.

Questo lavoro pertanto si propone di dare evidenza e coerenza a pensieri e prassi, per meglio leggere l’attuale pratica della Comunità nelle sue modificazioni storiche.

Per comprendere meglio la necessità del recupero dei fondamenti socio pedagogici della Comunità di San Benedetto, bisogna, sia pure velocemente, tentare di leggerne la genesi.

Prima che la Comunità nascesse, Don Gallo, costretto a lasciare la sua parrocchia del Carmine, continua un percorso di ricerca e approfondimento che lo porterà alla formazione della Comunità stessa. Procedeva su questo sentiero insieme a persone che discutevano e cercavano con lui, lasciandosi interrogare dal Vangelo  e dalla realtà storica, cercando altri riferimenti a sostegno delle loro intuizioni. Tutto ciò condurrà ad aprire le porte della casa canonica in Via San Benedetto. Una strada su cui ancora oggi la Comunità procede, incontrando via via esperienze, persone e linee teoriche con cui confrontarsi. Quegli anni, in cui tutto doveva ancora succedere e in cui tutto stava già accadendo, devono essere stati bellissimi anche per le discussioni e gli  approfondimenti teorici e pratici che si producevano.

Probabilmente la ricerca di riferimenti teorici non è mai più stata così forte e così intensa come in quel periodo che successivamente ha lasciato spazio alla sperimentazione, alla pratica ed al consolidarsi di quella che è stata talvolta definita “la praticaccia” della Comunità. L’allargarsi del gruppo iniziale a persone con maggiori difficoltà, con minore propensione intellettuale e portatrici di una più forte testimonianza biografica, l’incontro e la convivenza con l’altro e con l’ultimo, hanno forse ridotto la tensione alla teorizzazione per portare energie sul terreno concreto della convivenza. E’ qui che la “praticaccia” si costruisce e diventa patrimonio della Comunità. Un patrimonio da offrire alla scienza sul terreno socio sanitario e da offrire alla città sul piano umano e politico.

In quegli anni, come nei seguenti, Don Gallo non rinunciava alla profondità delle prassi che si stavano costruendo. Le situazioni concrete del vivere insieme erano lette sulla scorta di concetti forti. Si costruivano, nella struttura del tempo settimanale,  momenti di confronto e di spietata messa in discussione. Momenti privilegiati a cui tutti i membri della Comunità partecipavano allo stesso livello: dai primi sostenitori di Andrea all’ultimo ragazzo accolto, dal tossicomane all’obiettore di coscienza, dal genitore alla prostituta; perché la Comunità non è settoriale e il suo orizzonte è il popolo, all’interno di un progetto politico di cambiamento personale e strutturale.

Non erano spazi in cui nascondersi dietro dissertazioni teoriche, così come non era dato mascherarsi con vuoti racconti. Era invece il momento della messa in discussione. Ci si confrontava con alcune linee guida che intervenivano come strumento di lettura del proprio agire, nella relazione con gli altri e con se stessi. Certo non mancavano espressioni retoriche, facili quanto vuoti allineamenti alla linea comune. I più vecchi della Comunità ricordano di quel ragazzo che, durante una di queste riunioni, iniziò a recitare, come fossero parole sue, una famosa canzone di Gaber: “… no perché per me… la libertà non è, come dire, uno spazio libero, non è stare sopra un albero… vedete secondo me, libertà è partecipazione…” . Seguirono risate: Satana, (questo il suo soprannome), era stato smascherato e tuttavia, con questa performance, smascherava i tentativi di molti di recitare parole in cui non credevano o in cui non credevano ancora.

Dunque il campo aperto della ricerca teorica si è fatto linea guida, i concetti complessi si sono contratti per poter divenire accessibili a tutti. La riflessione si è spogliata in parte dei panni teorici per immergersi nella pratica vitale.

La ricerca della Comunità metteva in discussione la cultura borghese e il concetto stesso di cultura, quella accademica, quella dei licei, quella che diventa di fatto strumento e terreno di esclusione. Si cercava allora nella pratica quotidiana una cultura nuova, accessibile a tutti perché costruita da tutti: una cultura, si dirà, “intesa come stile di vita”.

Uno stile di vita che contempla la ricerca e il confronto con temi politici, sociali, culturali, che debbono però essere il più possibile accessibili. E’ un portare stimoli, è un tendere verso l’approfondimento e la ricerca.

In questo percorso collettivo, chi attraversava la Comunità si confrontava con parole d’ordine e con concetti essenziali che avevano il potere di racchiudere in se stessi, evocandoli, pensieri complessi; ma non è facile coniugare la complessità con la fruibilità per tutti.

La Comunità non era luogo da seminari per giovani universitari intellettualoidi e nemmeno per ciabattosi teorici di rivoluzioni a venire. In Comunità la rivoluzione era tutti i giorni, chiedeva rinunce e imponeva di sporcarsi le mani, di metterci la faccia e tutto il resto.

La prima informazione che si riceveva, prima ancora di varcare la soglia di casa, chiedendo di poter svolgere in Comunità il servizio civile era la seguente: “… guarda, qui si chiede il tempo pieno e c’è la cassa comune.” Per quanto riguarda il tempo, in quegli ormai lontani anni ’80, era davvero pieno, dalle sette del mattino a mezzanotte, se non oltre. Pieno di lavoro, di relazioni, di attività culturali, di animazione, di attività politica. Circa la cassa comune, ancora oggi potrebbe essere un’esperienza interessante trascorrere alcuni anni, sostanzialmente senza avere mai soldi in tasca; e non era solo la cassa ad essere comune ma anche i vestiti, mutande comprese.

La Comunità era, in quegli anni, soprattutto luogo di continua relazione con l’altro e di lavoro concreto, materiale, artigianale. Alle attività culturali, in senso stretto,  erano dedicate le serate, ed erano, anch’esse, un momento collettivo. L’approfondimento però richiede spesso uno studio personale, sovente difficile da realizzare nella Comunità di quegli anni, sia per il tempo a disposizione sia per il rischio di incorrere in un atteggiamento di chiusura e di separazione dagli altri, in un clima in cui la dimensione collettiva era assolutamente centrale.

Oggi sono poche le persone presenti che possono ricordare quella Comunità delle origini e quella del suo primo sviluppo, in cui si delinearono le linee guida che ancora oggi costituiscono un riferimento.

Alla  fine degli anni ’80 iniziava un periodo triste e doloroso; l’AIDS colpiva a piene mani e alle spalle; colpiva persone che avendo superato le loro difficoltà e il loro percorso di dipendenza, costituivano una importante ossatura della Comunità stessa.

Le norme dettate dai servizi pubblici iniziano a farsi più precise ma meno rispondenti a realtà “diversamente strutturate” come San Benedetto; cresce la burocrazia.

Nel paese cambia profondamente anche il contesto culturale, prima ancora che politico. Cambiano le esigenze esistenziali e familiari di quanti hanno dedicato e dedicano il loro tempo e lavoro alla Comunità. Aumentano i costi fissi e le difficoltà di generare autonomia economica ma non aumentano le rette, quel riconoscimento economico, da parte dell’ente pubblico, delle spese sostenute per l’accoglienza delle persone inviate. Tutto ciò ha introdotto progressivi elementi di difficoltà e di contraddizione nell’assetto comunitario. Tuttavia, la Comunità va avanti.

Spesso isolata nel contesto cittadino, diventa punto di riferimento a livello nazionale per molti gruppi; dai centri sociali ai comitati per la difesa dei territori, a tutti coloro che ne riconoscono, magari visitandone il sito internet, il messaggio profetico  e il coraggio di essere contro anche quando la convenienza (politica ed economica) consiglierebbe il contrario.

Negli ultimi anni inoltre, ma ormai non così pochi, è cresciuta anche la fama di Don Gallo, sancita da riconoscimenti e premi di ogni tipo; Andrea, che ormai ci ha lasciati ed è ancora con noi, è riconosciuto come un maestro e una autorità morale.

 

Nel 2007 la Comunità, provata da tanti lutti e disagi, sente il bisogno di fare il punto, di  “ricaricare i programmi”, con gli opportuni aggiornamenti, per leggere e governare il cambiamento senza perdere l’ancoraggio alle proprie radici.

In tale direzione va questo lavoro che ripropone alcune delle linee teoriche della pedagogia di Don Andrea Gallo. Un lavoro che si rivolge a quanti operano in Comunità, che possono essere interessati a trovare qui alcuni spunti di approfondimento e lo stimolo a cercare meglio sui testi originali. Si rivolge anche a coloro che hanno sentito parlare della Comunità o hanno incontrato il suo fondatore e a cui può essere sorto un interesse per capire meglio e di più.

I primi riconosceranno probabilmente  negli autori proposti le parole ascoltate da Andrea Gallo. I secondi comprenderanno meglio la solidità e lo spessore dell’esperienza rappresentata dalla Comunità di San Benedetto. Entrambi avranno più chiavi di lettura e strumenti per leggere la Comunità del secondo millennio.

I maestri e i riferimenti teorici di Don Andrea Gallo sono stati ovviamente tanti. Egli li ha ricordati nel bel libro intervista “Il fiore pungente”. Nel riassumerli in sintesi se ne tralasciano di certo tanti. Innanzitutto il Vangelo. Don Gallo era un prete, non va dimenticato, e non si tratta qui di scoprire quanto egli sia stato fedele alla Chiesa (come sempre si è dichiarato) o di quanto ne abbia preso le distanze con posizioni personali e originali. La chiarezza del proprio pensiero, anche espresso con asprezza per rivendicare quel principio di coscienza, che è dottrina certa, non è stato mai, per Don Gallo, un chiamarsi fuori dalla Chiesa e dalle sue gerarchie; semmai, per lui, l’unico modo di starci dentro, in coerenza al Vangelo e alla Chiesa stessa.[1]

Analogamente non appare così importante cercare di valutare il primato tra l’elemento religioso o quello laico. Don Gallo è stato un uomo, un prete, un esempio di laicità che coniugava fede, tensione civile, passione per la cultura del proprio tempo. Con il Vangelo, infatti troviamo la Costituzione della nostra Repubblica e in particolare i primi 11 articoli, quelli dei diritti fondamentali.

Continuando nell’elenco, senza farne gerarchie di valore, ricordiamo Don Giovanni Bosco con il suo metodo Salesiano dell’educazione preventiva. Don Andrea ha iniziato infatti come Salesiano.

Ma altri religiosi sono annoverati tra i suoi ispiratori: Dossetti, La Pira, Padre Ernesto Balducci,  Padre Turoldo, Don Milani, i monaci di Bose, Dietrich Bonhoefer, Don Aldo Ellena,  Don Luigi Ciotti. In generale il clima e l’orientamento del Concilio Vaticano II, il vento di novità portato dal ‘68, ma anche, con la teologia della Liberazione, Dom Helder Camara.

Le riflessioni del primo gruppo di persone, raccolte attorno a Don Gallo, si confrontavano anche con le idee di filosofi quali Emanuel Lévinas ed Emanuel Mounier.

Di indiscutibile importanza sono poi il pensiero del pedagogista brasiliano Paulo Freire e dello psichiatra Franco Basaglia.

Tra gli altri riferimenti ricordati da Don Gallo troviamo Gandhi e Che Guevara, a dimostrazione dell’eterogeneità dei riferimenti e della posizione non ideologica nei confronti della non violenza.

Quando, nell’urgenza di rispondere ai problemi, all’urlo del mondo, la Comunità attraversa gli anni di piombo, Don Andrea, già partigiano durante la resistenza al nazi-fascismo, non riconosce nel Paese lo stesso clima di coinvolgimento e di adesione popolare tra i due momenti storici, tra la guerra di liberazione e i più recenti movimenti rivoluzionari armati. La Comunità si ritrova, in quegli anni, nello slogan “né con lo stato né con le B.R”.

In Comunità vivono giovani che coniugano la fede cristiana con l’adesione a partiti di sinistra o con movimenti extra parlamentari. Altri vivono la Comunità a partire da posizioni atee o marxiste.

Con Giulio Girardi la Comunità trova il punto di saldatura tra marxismo e cristianesimo; così come trova un ponte ulteriore verso i movimenti culturali e politici dell’America latina. Arrivano gli anni della rivoluzione nicaraguese, a cui la Comunità guarda con passione e speranza.

Tra gli altri riferimenti, con particolare riferimento al tema delle sostanze e della tossicodipendenza, vanno ricordati (ma questo ambito meriterebbe un approfondimento a sé stante) Giancarlo Arnao, Thomas Szas, Ronald Laing, Claude Olievenstein e successivamente tutto il movimento culturale e scientifico legato al concetto della riduzione del danno e dell’antiproibizionismo.

La complessità dei riferimenti è vasta. Non è ambizione di questo testo dare conto di tutto e comporlo in un quadro teorico più o meno organico.

I fuochi di interesse  qui proposti sono dunque il frutto di una scelta che da un lato cerca di dare conto di elementi diversi e dall’altro privilegia la scelta degli autori che più si ritrovano nelle parole d’ordine e nelle linee guida tramandate nella Comunità di San Benedetto.

Questo è il tentativo di tracciare la trama teorico pratica di un approccio all’altro che, nel contesto comunitario, diventa pedagogia. Una pedagogia che, a partire dalla Comunità per arrivare al territorio, diventa intervento sociale e progetto politico.

L’intento è quello di riportare in luce quel filo teorico (che forse è diventato sempre meno  evidente persino agli stessi membri della Comunità) da cui la Comunità è partita; di produrre uno strumento operativo e divulgativo, che non  abbia le forme di uno schema strutturato su cui muovere l’intervento sociale, ma in grado di fornire una guida a quanti, dentro e fuori dalla Comunità, cercassero dei riferimenti a ragione del proprio agire sociale, educativo, politico. Un fil rouge di continuità per navigare nei cambiamenti storico sociali, una bussola per continuare a scommettere, con più consapevolezza, sul nostro futuro di uomini e donne del mondo.

 

 

 

 

 

 

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